PENSIERO DELL'ALPINO
Essere alpino è un valore, è un qualcosa che riempie la vita di un uomo. Le qualità morali che in tutto il mondo vengono riconosciute agli alpini sono la lealtà, la generosità, il coraggio, la solidarietà, la gratuità, la fratellanza, l’onestà e l’impegno continuo…. Si è alpini per tutta la vita: non esistono ex-alpini; chi è stato alpino lo sarà per sempre. |
BREVE STORIA DEL CORPO DEGLI ALPINI
Su progetto del Capitano Giuseppe Perrucchetti viene istituito con R.D. 15 ottobre 1872 il Corpo degli Alpini per preparare truppe destinate alla difesa dei confini montani.
Vengono formate 15 compagnie che aumentano a 36, ripartite in 10 battaglioni, nel 1878.
Costituiti nel 1882 i primi reggimenti, questi divengono 7 per complessivi 22 battaglioni nel 1887; il battesimo del fuoco avviene alla battaglia di Adua (1° marzo 1896).
Durante la guerra 1915-18 (Prima Mondiale), formato l'8° reggimento nel 1909, il Corpo comprende 88 battaglioni riuniti in 20 gruppi, 9 raggruppamenti e 4 divisioni. Terminato il conflitto rimangono in vita otto reggimenti ai quali si unisce il 9° costituito nel 1919.
Con l'ordinamento 1926 si formano tre comandi di brigata, poi quattro nel 1933, trasformati in Divisioni nel 1935. Sempre nel 1935 sono costituiti l'11° ed il 12° reggimento (questo soppresso l'anno successivo) ed una 5^ Divisione.
Nel corso del secondo conflitto mondiale le divisioni salgono a sei, sciolte poi nel settembre 1943.
Presenti nella guerra di liberazione con i battaglioni "Piemonte" e "Abruzzi" (poi "L'Aquila"), gli alpini ricostituiscono le loro unità su cinque brigate (Julia, Taurinense, Cadore, Orobica e Tridentina), gradualmente ridotte alle Brigate Julia, Taurinense e Comando Divisione Tridentina.
Attualmente i reggimenti sono 8 e le loro Bandiere sono decorate di 9 Croci di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia, 10 Medaglie d'Oro, 30 Medaglie d'Argento, 8 Medaglie di Bronzo ed 1 Croce di Guerra al Valor Militare, di 3 Medaglie di Bronzo al Valore dell'Esercito, 1 Medaglia d'Oro, 1 d'Argento e 1 di Bronzo al Valor Civile e 1 Croce d'Oro e 1 Croce d'Argento al Merito dell'Esercito, 6 Medaglie d'Argento di Benemerenza, 4 Medaglie di Bronzo al Merito della Croce Rossa Italiana.
Su progetto del Capitano Giuseppe Perrucchetti viene istituito con R.D. 15 ottobre 1872 il Corpo degli Alpini per preparare truppe destinate alla difesa dei confini montani.
Vengono formate 15 compagnie che aumentano a 36, ripartite in 10 battaglioni, nel 1878.
Costituiti nel 1882 i primi reggimenti, questi divengono 7 per complessivi 22 battaglioni nel 1887; il battesimo del fuoco avviene alla battaglia di Adua (1° marzo 1896).
Durante la guerra 1915-18 (Prima Mondiale), formato l'8° reggimento nel 1909, il Corpo comprende 88 battaglioni riuniti in 20 gruppi, 9 raggruppamenti e 4 divisioni. Terminato il conflitto rimangono in vita otto reggimenti ai quali si unisce il 9° costituito nel 1919.
Con l'ordinamento 1926 si formano tre comandi di brigata, poi quattro nel 1933, trasformati in Divisioni nel 1935. Sempre nel 1935 sono costituiti l'11° ed il 12° reggimento (questo soppresso l'anno successivo) ed una 5^ Divisione.
Nel corso del secondo conflitto mondiale le divisioni salgono a sei, sciolte poi nel settembre 1943.
Presenti nella guerra di liberazione con i battaglioni "Piemonte" e "Abruzzi" (poi "L'Aquila"), gli alpini ricostituiscono le loro unità su cinque brigate (Julia, Taurinense, Cadore, Orobica e Tridentina), gradualmente ridotte alle Brigate Julia, Taurinense e Comando Divisione Tridentina.
Attualmente i reggimenti sono 8 e le loro Bandiere sono decorate di 9 Croci di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia, 10 Medaglie d'Oro, 30 Medaglie d'Argento, 8 Medaglie di Bronzo ed 1 Croce di Guerra al Valor Militare, di 3 Medaglie di Bronzo al Valore dell'Esercito, 1 Medaglia d'Oro, 1 d'Argento e 1 di Bronzo al Valor Civile e 1 Croce d'Oro e 1 Croce d'Argento al Merito dell'Esercito, 6 Medaglie d'Argento di Benemerenza, 4 Medaglie di Bronzo al Merito della Croce Rossa Italiana.
L'INNO DEGLI ALPINI : 33
LE ORIGINI DEL CAPPELLO DEGLI ALPINI
Il cappello degli Alpini è calabrese: l’origine di un copricapo ricco di storia.
Durante il Risorgimento il tipico berretto con la penna era indossato dai rivoluzionari di Cosenza e Reggio. Da allora divenne simbolo di ribellione e venne esaltato anche da Verdi e Garibaldi.
Durante il Risorgimento, oltre al tributo di sangue versato alla patria dagli innumerevoli martiri, la Calabria donò all’Unità d’Italia anche un cappello. Un copricapo che divenne il simbolo della sollevazione del popolo italiano contro le tirannie straniere.
Circa il “cappello alla calabrese” adottato dai rivoluzionari durante i moti di Cosenza del 1844, repressi nel sangue, Giuseppe Fausto Macrì, nel suo “Il tempo, il Viaggio e lo Spirito”, Laruffa Editore, ci dice che nei salotti liberali milanesi le donne presero a indossarlo in omaggio a quelle lontane indomite contrade in lotta contro il Borbone.
Nel 1847 la rivolta di Reggio e Gerace, un ulteriore ingente tributo vermiglio del popolo calabrese alla causa risorgimentale - proprio per la ferocia con la quale l’esercito di Ferdinando II la represse - accanendosi finanche con i cadaveri degli insorti, destò in tutta Italia sentimenti di commozione e di sentita solidarietà, e l’orrore per le barbare fucilazioni fu oggetto di ampie cronache in tutti i giornali liberali dell’epoca.
In breve tempo il “cappello alla calabrese” divenne l’emblema della resistenza all’oppressione e segno di riconoscimento tra i cospiratori di tutta la Penisola. Tanto che la polizia Asburgica, quanto quella Borbonica, vietarono rigorosamente portarlo, in quanto “segno distintivo di partito antipolitico”, pena l’immediato arresto.
Il “cappello alla calabrese” piacque anche a Giuseppe Verdi che lo fece portare al protagonista della sua opera “Ernani”, tratta dal dramma di Victor Hugo, Ernani un eroico bandito (che in realtà è un nobile spagnolo), il quale combatte l’ingiustizia e la tirannide. E anche Garibaldi, l’eroe dei due mondi, non ne fu immune e, il suo tocco sudamericano, successivamente, influenzò anche la moda delle gentildonne.
Ma la cosa ancora più singolare, e forse meno conosciuta ai più, è che uno dei tratti distintivi più evidenti di uno dei più famosi ed apprezzati corpi dell’Esercito Italiano, gli Alpini, fin dalla sua costituzione, 15 ottobre 1872, riprende il “cappello alla calabrese” - o all’Ernani, ricordando l'opera verdiana - a significare che il copricapo con la piuma, ritenuto “sovversivo” e bandito con tanto di decreto dall’impero asburgico e dal regno borbonico, non è un mero oggetto avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo per l'uniforme ma, portato tuttora sulle teste dei nostri Alpini, a memoria dei martiri calabresi e di tutti i caduti per la libertà del nostro Paese, è un simbolo significativo per la nostra storia nazionale.
Il cappello degli Alpini è calabrese: l’origine di un copricapo ricco di storia.
Durante il Risorgimento il tipico berretto con la penna era indossato dai rivoluzionari di Cosenza e Reggio. Da allora divenne simbolo di ribellione e venne esaltato anche da Verdi e Garibaldi.
Durante il Risorgimento, oltre al tributo di sangue versato alla patria dagli innumerevoli martiri, la Calabria donò all’Unità d’Italia anche un cappello. Un copricapo che divenne il simbolo della sollevazione del popolo italiano contro le tirannie straniere.
Circa il “cappello alla calabrese” adottato dai rivoluzionari durante i moti di Cosenza del 1844, repressi nel sangue, Giuseppe Fausto Macrì, nel suo “Il tempo, il Viaggio e lo Spirito”, Laruffa Editore, ci dice che nei salotti liberali milanesi le donne presero a indossarlo in omaggio a quelle lontane indomite contrade in lotta contro il Borbone.
Nel 1847 la rivolta di Reggio e Gerace, un ulteriore ingente tributo vermiglio del popolo calabrese alla causa risorgimentale - proprio per la ferocia con la quale l’esercito di Ferdinando II la represse - accanendosi finanche con i cadaveri degli insorti, destò in tutta Italia sentimenti di commozione e di sentita solidarietà, e l’orrore per le barbare fucilazioni fu oggetto di ampie cronache in tutti i giornali liberali dell’epoca.
In breve tempo il “cappello alla calabrese” divenne l’emblema della resistenza all’oppressione e segno di riconoscimento tra i cospiratori di tutta la Penisola. Tanto che la polizia Asburgica, quanto quella Borbonica, vietarono rigorosamente portarlo, in quanto “segno distintivo di partito antipolitico”, pena l’immediato arresto.
Il “cappello alla calabrese” piacque anche a Giuseppe Verdi che lo fece portare al protagonista della sua opera “Ernani”, tratta dal dramma di Victor Hugo, Ernani un eroico bandito (che in realtà è un nobile spagnolo), il quale combatte l’ingiustizia e la tirannide. E anche Garibaldi, l’eroe dei due mondi, non ne fu immune e, il suo tocco sudamericano, successivamente, influenzò anche la moda delle gentildonne.
Ma la cosa ancora più singolare, e forse meno conosciuta ai più, è che uno dei tratti distintivi più evidenti di uno dei più famosi ed apprezzati corpi dell’Esercito Italiano, gli Alpini, fin dalla sua costituzione, 15 ottobre 1872, riprende il “cappello alla calabrese” - o all’Ernani, ricordando l'opera verdiana - a significare che il copricapo con la piuma, ritenuto “sovversivo” e bandito con tanto di decreto dall’impero asburgico e dal regno borbonico, non è un mero oggetto avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo per l'uniforme ma, portato tuttora sulle teste dei nostri Alpini, a memoria dei martiri calabresi e di tutti i caduti per la libertà del nostro Paese, è un simbolo significativo per la nostra storia nazionale.
20 MAGGIO 1910 NASCE IL CAPPELLO ALPINO
"Estratto dell'articolo scritto per Aquile in Guerra, n. 18 - 2010"
"Società Storica per la Guerra Bianca con adattamenti per il presente "Supplemento"
“E’ adottato per la truppa dei reggimenti alpini un cappello di feltro grigioverde che completa la nuova uniforme da campagna stabilita per dette truppe. Detto capello consta: di un filtro, di una fodera, di una fascia di allula, di 4 occhielli, di una sopra fascia, di un cordoncino, di un porta nappina e degli accessori i quali sono per gli alpini: la nappina, la penna ed il fregio,
e per l’artiglieria da montagna: la coccarda, la penna ed il fregio, (…)”
Così inizia l'Atto n.l96 del 20 maggio 1910, pubblicato sul Giornale Militare a firma del Ministro Spingardi, che sancisce il cappello in feltro, ma solo per i sottufficiali, i graduati e la truppa dei reggimenti alpini e dell'artiglieria da montagna. Questa disposizione - che commenteremo più avanti nella sua completezza - è frutto di varie trasformazioni ed esperienze che il Corpo degli Alpini ebbe fin dal 1872. Il cappello alpino non è un mero oggetto avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo
Le divise dei Volontari di Parma del 1859 disegnate dal noto illustratore Quinto Cenni. Da notare il copricapo, molto simile a quello che diverrà il primo cappello degli Alpini.
per l'uniforme, ma è anche un simbolo significativo per la nostra storia nazionale come lo erano già alcune tipologie di cappelli e berretti dell'Italia risorgimentale.
" ... Sarei solo in dubbio per dare le preferenza al cappello piuttosto che ad un berretto munito di alette da applicarsi a guisa di soggolo. Fra la tormenta, le bufere, il nevischio, io ho trovato un gran beneficio, soprattutto nella cattiva stagione a far uso di tale berretto, mentre è facile con una copertina di tela, foggiata a copri nuca, di ripararsi anche dal sole senza aver bisogno di due oggetti, capello e berretto per copricapo ...”
"Che il cappello sia molle non solo, ma provvisto di larghe falde le quali permettonodi riparare la testa dal sole e dalla pioggia. Che il cappello stesso sia provvisto di penna (mi duole di non essere d’accordo in questo col buono e simpaticissimo Brioschi). La penna – a pare mio – rende il cappello poeticamente più bello e soprattutto essa è desiderata dai nostri montanari, come lo prova il fatto che tutti indistintamente i nostri Alpini, appena possono, si provvedano a loro spese di enormi penne, sia per andare a passeggio che per recarsi al proprio paese in permesso.”
Finiti gli esperimenti sulla divisa grigia e approvato il colore grigio verde, colore che più si adattava al colore del "terreno" italiano dalla Sicilia alle Alpi, il 20 maggio 1910, come riportato all'inizio di questo scritto, "nasce" il cappello alpino in feltro grigio verde.
Il modello della truppa e dei sottufficiali era di feltro di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta ornata da una fascia di cuoio intorno alla base, e aveva la tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata. Sul lato sinistro la penna era inserita in una nappina di lana con il colore del battaglione, dove il modello degli ufficiali era di feltro di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta ornata da una fascia di seta e da un cordoncino di lana attorno alla base, sempre con la tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata, la penna era inserita in una nappina di metallo argentato e sullo stesso lato c' erano i gradi a V rovesciata d' argento.
Nel 1912 fu adottato il fregio rimasto in uso sino ad oggi: un' aquila con le ali aperte al di sopra di una cornetta, con il numero del reggimento nel tondino centrale, posta davanti a due fucili incrociati (due cannoni incrociati per gli artiglieri da montagna).
Dalla prima guerra mondiale in poi ci furono solo cambiamenti poco rilevanti, relativi soprattutto al fregio, alla nappina e ai materiali di cui erano costituiti. La forma del cappello resta invariata e caratteristica, tale da diventare un simbolo di appartenenza e un motivo di orgoglio per tutti gli ALPINI.....
"Estratto dell'articolo scritto per Aquile in Guerra, n. 18 - 2010"
"Società Storica per la Guerra Bianca con adattamenti per il presente "Supplemento"
“E’ adottato per la truppa dei reggimenti alpini un cappello di feltro grigioverde che completa la nuova uniforme da campagna stabilita per dette truppe. Detto capello consta: di un filtro, di una fodera, di una fascia di allula, di 4 occhielli, di una sopra fascia, di un cordoncino, di un porta nappina e degli accessori i quali sono per gli alpini: la nappina, la penna ed il fregio,
e per l’artiglieria da montagna: la coccarda, la penna ed il fregio, (…)”
Così inizia l'Atto n.l96 del 20 maggio 1910, pubblicato sul Giornale Militare a firma del Ministro Spingardi, che sancisce il cappello in feltro, ma solo per i sottufficiali, i graduati e la truppa dei reggimenti alpini e dell'artiglieria da montagna. Questa disposizione - che commenteremo più avanti nella sua completezza - è frutto di varie trasformazioni ed esperienze che il Corpo degli Alpini ebbe fin dal 1872. Il cappello alpino non è un mero oggetto avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo
Le divise dei Volontari di Parma del 1859 disegnate dal noto illustratore Quinto Cenni. Da notare il copricapo, molto simile a quello che diverrà il primo cappello degli Alpini.
per l'uniforme, ma è anche un simbolo significativo per la nostra storia nazionale come lo erano già alcune tipologie di cappelli e berretti dell'Italia risorgimentale.
" ... Sarei solo in dubbio per dare le preferenza al cappello piuttosto che ad un berretto munito di alette da applicarsi a guisa di soggolo. Fra la tormenta, le bufere, il nevischio, io ho trovato un gran beneficio, soprattutto nella cattiva stagione a far uso di tale berretto, mentre è facile con una copertina di tela, foggiata a copri nuca, di ripararsi anche dal sole senza aver bisogno di due oggetti, capello e berretto per copricapo ...”
"Che il cappello sia molle non solo, ma provvisto di larghe falde le quali permettonodi riparare la testa dal sole e dalla pioggia. Che il cappello stesso sia provvisto di penna (mi duole di non essere d’accordo in questo col buono e simpaticissimo Brioschi). La penna – a pare mio – rende il cappello poeticamente più bello e soprattutto essa è desiderata dai nostri montanari, come lo prova il fatto che tutti indistintamente i nostri Alpini, appena possono, si provvedano a loro spese di enormi penne, sia per andare a passeggio che per recarsi al proprio paese in permesso.”
Finiti gli esperimenti sulla divisa grigia e approvato il colore grigio verde, colore che più si adattava al colore del "terreno" italiano dalla Sicilia alle Alpi, il 20 maggio 1910, come riportato all'inizio di questo scritto, "nasce" il cappello alpino in feltro grigio verde.
Il modello della truppa e dei sottufficiali era di feltro di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta ornata da una fascia di cuoio intorno alla base, e aveva la tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata. Sul lato sinistro la penna era inserita in una nappina di lana con il colore del battaglione, dove il modello degli ufficiali era di feltro di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta ornata da una fascia di seta e da un cordoncino di lana attorno alla base, sempre con la tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata, la penna era inserita in una nappina di metallo argentato e sullo stesso lato c' erano i gradi a V rovesciata d' argento.
Nel 1912 fu adottato il fregio rimasto in uso sino ad oggi: un' aquila con le ali aperte al di sopra di una cornetta, con il numero del reggimento nel tondino centrale, posta davanti a due fucili incrociati (due cannoni incrociati per gli artiglieri da montagna).
Dalla prima guerra mondiale in poi ci furono solo cambiamenti poco rilevanti, relativi soprattutto al fregio, alla nappina e ai materiali di cui erano costituiti. La forma del cappello resta invariata e caratteristica, tale da diventare un simbolo di appartenenza e un motivo di orgoglio per tutti gli ALPINI.....
da “CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO “
di Giulio Bedeschi …di CAPPELLI e di uomini ne esistono di centomila tipi a questo mondo, ma di ALPINI E CAPPELLI COME IL LORO ce n’è una specie sola, che nasce e resta unica intorno ai monti d’Italia. …e se a volte sembra che tutti e due si diano un po’ troppe arie per via di quella penna, bisogna concludere che non è vero, prova ne sia che spesso quel cappello lo si usa perfino da paniere per metterci dentro le sei uova o magari le patate ancora sporche di terra, come se fosse la sporta della serva; bisogna pensare che tante volte sta a galla su un mucchio di bende e non calza più perché la testa del padrone, sotto, s’è mezza sfasciata per fare il suo dovere. Bisogna anche sapere che quel cappello, a guardarlo, dice GIOVINEZZA per tutto il tempo della vita, e a calcarselo di nuovo un po’ di traverso fra i due orecchi col vecchio gesto spavaldo, gli anni calano che è un piacere; e alla fine, quando non è proprio più il caso di piantarlo in testa, vuol dire che l’ALPINO E’ ormai morto, poveretto; e quasi sempre, mandriano o ministro che sia, se lo fa mettere ancora sopra la cassa e sta a dire che chi c’è dentro era, in fondo, un BUON UOMO, ALLEGRO, IN GAMBA, con un fegato sano e un cuore così.. Sta a dire che, morto il padrone, vorrebbe andargli dietro ma invece resta in famiglia, per ricordo. E che ormai, se non riesce neppure lui a ridestare l’ALPINO disteso, non esiste più nemmeno un filo di speranza, sino alla fanfara del giudizio universale non lo risveglia e lo scuote più nessuno: C’E’ UN ALPINO DI MENO SULLA TERRA. |
CAPPELLO ALPINO:
PER CHI TI HA PORTATO: nostalgia-rimpianto-fierezza! PER CHI TI PORTA: vanto-tradizione-certezza! PER CHI TI PORTERÀ: simbolo-grandezza-speranza! |
IL NOSTRO CAPPELLO ALPINO
Sapete cos’è un cappello alpino? E’ il mio sudore che l’ ha bagnato e le lacrime che gli occhi pian- gevano e tu dicevi: “nebbia schifa”. Polvere di strade, sole di estati, pioggia e fango di terre balorde, gli hanno dato il colore. Neve e vento e freddo di notti infinite, pesi di zaini e sacchi, colpi d’armi e impronte di sassi, gli hanno dato la forma. Un cappello così hanno messo sulle croci dei morti, sepolti nella terra scura, lo hanno baciato i moribondi come baciavano la mamma. L ‘han tenuto come una bandiera. Insegna nel combattimento e guanciale per le notti. Vangelo per i giuramenti e coppa per la sete. Amore per il cuore e canzone di dolore. |
Pontefici con il cappello alpino:
Giovanni Paolo II - Benedetto XVI -Francesco I
Giovanni Paolo II - Benedetto XVI -Francesco I
“Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino 26 gennaio”
La Camera dei Deputati ha approvato il 25 giugno 2019 a larghissima maggioranza la proposta di legge 622, composta da cinque articoli, che prevede l’istituzione della “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino”, individuandola nella data del 26 gennaio di ogni anno.
Scopo del provvedimento, voluto e sostenuto con forza dall’Associazione Nazionale Alpini, è tenere vivo il ricordo della battaglia di Nikolajewka, combattuta dagli alpini il 26 gennaio del 1943, e di tramandare alle nuove generazioni “i valori che incarnano gli alpini nella difesa della sovranità e dell’interesse nazionale e nell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato” (art.1).
La battaglia di Nikolajewka, viene ricordata per l’esempio di coraggio, di spirito di sacrificio e di alto senso del dovere offerto da tutti gli alpini coinvolti nel combattimento, senza distinzione di grado e di origine.
Quanto alle celebrazioni, da svolgersi in occasione della ricorrenza, l’art. 2 prevede che gli organi competenti di ciascuna provincia o ente equivalente, possano promuovere ed organizzare cerimonie, eventi, incontri, conferenze storiche e mostre fotografiche, nonché testimonianze sull’importanza della sovranità nazionale, delle identità culturali e storiche, della tradizione e dei valori etici di solidarietà e di partecipazione civile che incarna il Corpo degli Alpini.
L’art. 3 precisa che la Giornata non è considerata solennità civile per quanto riguarda la riduzione d’orario negli uffici pubblici, ma prevede l’imbandieramento degli stessi. L’art. 4, in considerazione dell’alto valore educativo, sociale e culturale che rivestirà la “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino” attribuisce agli istituti scolastici di ogni ordine e grado, nell’ambito della loro autonomia, la possibilità di promuovere iniziative per la celebrazione della Giornata medesima. L’art. 5 specifica infine che dall’attuazione della legge non derivano nuovi oneri per la finanza pubblica.
Grande la soddisfazione espressa alla notizia dell’approvazione del provvedimento dal Presidente dell’Ana, Sebastiano Favero, che ora confida in un passaggio altrettanto rapido e positivo dello stesso in Senato. La proposta era stata avanzata a firma di ben 75 deputati lo scorso 11 maggio.
https://www.ana.it/2019/06/26/approvata-alla-camera-la-giornata-nazionale-della-memoria-e-del-sacrificio-alpino/
La Camera dei Deputati ha approvato il 25 giugno 2019 a larghissima maggioranza la proposta di legge 622, composta da cinque articoli, che prevede l’istituzione della “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino”, individuandola nella data del 26 gennaio di ogni anno.
Scopo del provvedimento, voluto e sostenuto con forza dall’Associazione Nazionale Alpini, è tenere vivo il ricordo della battaglia di Nikolajewka, combattuta dagli alpini il 26 gennaio del 1943, e di tramandare alle nuove generazioni “i valori che incarnano gli alpini nella difesa della sovranità e dell’interesse nazionale e nell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato” (art.1).
La battaglia di Nikolajewka, viene ricordata per l’esempio di coraggio, di spirito di sacrificio e di alto senso del dovere offerto da tutti gli alpini coinvolti nel combattimento, senza distinzione di grado e di origine.
Quanto alle celebrazioni, da svolgersi in occasione della ricorrenza, l’art. 2 prevede che gli organi competenti di ciascuna provincia o ente equivalente, possano promuovere ed organizzare cerimonie, eventi, incontri, conferenze storiche e mostre fotografiche, nonché testimonianze sull’importanza della sovranità nazionale, delle identità culturali e storiche, della tradizione e dei valori etici di solidarietà e di partecipazione civile che incarna il Corpo degli Alpini.
L’art. 3 precisa che la Giornata non è considerata solennità civile per quanto riguarda la riduzione d’orario negli uffici pubblici, ma prevede l’imbandieramento degli stessi. L’art. 4, in considerazione dell’alto valore educativo, sociale e culturale che rivestirà la “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino” attribuisce agli istituti scolastici di ogni ordine e grado, nell’ambito della loro autonomia, la possibilità di promuovere iniziative per la celebrazione della Giornata medesima. L’art. 5 specifica infine che dall’attuazione della legge non derivano nuovi oneri per la finanza pubblica.
Grande la soddisfazione espressa alla notizia dell’approvazione del provvedimento dal Presidente dell’Ana, Sebastiano Favero, che ora confida in un passaggio altrettanto rapido e positivo dello stesso in Senato. La proposta era stata avanzata a firma di ben 75 deputati lo scorso 11 maggio.
https://www.ana.it/2019/06/26/approvata-alla-camera-la-giornata-nazionale-della-memoria-e-del-sacrificio-alpino/
22 settembre SAN MAURIZIO
Patrono degli alpini:
Un decreto pontificio del 19 luglio 1941, ha dichiarato per mano di Papa Pio XII, San Maurizio martire celeste, patrono e protettore del Corpo degli Alpini.
San Maurizio, noto anche come Moritz, Morris, Maurice, Mauricio o - in latino - Mauritius , è stato un militare romano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
San Maurizio è considerato il patrono degli Alpini e la sua festività ricorre il 22 settembre.
È dedicata a San Maurizio e solo poi a San Lazzaro la Chiesetta del Castello di Lierna, L'imperatrice del Sacro Romano Impero Adelaide di Borgogna dal 951 al 973, era solita risiedere nel Castello di Lierna e San Maurizio fu il patrono del Sacro Romano Impero a cui dedicò il culto della Chiesetta di Lierna, che la proteggeva durante le battaglie navali, per questo il suo abside è verso l'interno, le dimensioni piccole e non è visibile da lontano. Il 22 gennaio 1573, in questa Chiesa di Lierna, Emanuele Filiberto di Savoia fondò l'Ordine dinastico di Casa Savoia, chiamandolo per questo Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Il Borgo di Lierna mantenne nei secoli questa sua protezione e riservatezza come luogo di ritiro di reali e nobili. Molti ordini religiosi cavallereschi sono stati costituiti in onore di questo santo, incluso l'Ordine del Toson d'Oro del Sacro Romano Impero e l'Ordine di San Maurizio dei Savoia. Inoltre, cinquantadue toponimi francesi includono il suo nome.
Maurizio viene raffigurato tradizionalmente nella sua armatura ed in Italia si aggiunge una croce rossa sul suo scudo o armatura. Nella cultura popolare è stato messo in rapporto con la leggenda della Lancia del Destino, che avrebbe portato in battaglia; il suo nome è inciso sulla lancia sacra di Vienna, una delle reliquie che si sostiene sia la lancia che ferì il costato di Gesù sulla croce. San Maurizio dà il suo nome alla località di vacanza di montagna St. Moritz, così come a numerosi luoghi chiamati Saint-Maurice nei paesi di lingua francese. Oltre 650 istituti religiosi dedicati a San Maurizio sono presenti in Francia e in altri Paesi europei. Soltanto in Svizzera ci sono 7 chiese o altari nel Canton Argovia, 6 nel Cantone di Lucerna, 4 nel Canton Soletta, e 1 nel Cantone Appenzello Interno. In particolare, tra esse sono degne di nota: la chiesa e l'abbazia di San Maurizio d'Agauno, la chiesa di St. Moritz nell'Engadina e la cappella dell'Abbazia di Einsiedeln. In Italia si possono citare la Basilica di San Maurizio che domina Pinerolo e la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano.
Patrono degli alpini:
Un decreto pontificio del 19 luglio 1941, ha dichiarato per mano di Papa Pio XII, San Maurizio martire celeste, patrono e protettore del Corpo degli Alpini.
San Maurizio, noto anche come Moritz, Morris, Maurice, Mauricio o - in latino - Mauritius , è stato un militare romano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
San Maurizio è considerato il patrono degli Alpini e la sua festività ricorre il 22 settembre.
È dedicata a San Maurizio e solo poi a San Lazzaro la Chiesetta del Castello di Lierna, L'imperatrice del Sacro Romano Impero Adelaide di Borgogna dal 951 al 973, era solita risiedere nel Castello di Lierna e San Maurizio fu il patrono del Sacro Romano Impero a cui dedicò il culto della Chiesetta di Lierna, che la proteggeva durante le battaglie navali, per questo il suo abside è verso l'interno, le dimensioni piccole e non è visibile da lontano. Il 22 gennaio 1573, in questa Chiesa di Lierna, Emanuele Filiberto di Savoia fondò l'Ordine dinastico di Casa Savoia, chiamandolo per questo Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Il Borgo di Lierna mantenne nei secoli questa sua protezione e riservatezza come luogo di ritiro di reali e nobili. Molti ordini religiosi cavallereschi sono stati costituiti in onore di questo santo, incluso l'Ordine del Toson d'Oro del Sacro Romano Impero e l'Ordine di San Maurizio dei Savoia. Inoltre, cinquantadue toponimi francesi includono il suo nome.
Maurizio viene raffigurato tradizionalmente nella sua armatura ed in Italia si aggiunge una croce rossa sul suo scudo o armatura. Nella cultura popolare è stato messo in rapporto con la leggenda della Lancia del Destino, che avrebbe portato in battaglia; il suo nome è inciso sulla lancia sacra di Vienna, una delle reliquie che si sostiene sia la lancia che ferì il costato di Gesù sulla croce. San Maurizio dà il suo nome alla località di vacanza di montagna St. Moritz, così come a numerosi luoghi chiamati Saint-Maurice nei paesi di lingua francese. Oltre 650 istituti religiosi dedicati a San Maurizio sono presenti in Francia e in altri Paesi europei. Soltanto in Svizzera ci sono 7 chiese o altari nel Canton Argovia, 6 nel Cantone di Lucerna, 4 nel Canton Soletta, e 1 nel Cantone Appenzello Interno. In particolare, tra esse sono degne di nota: la chiesa e l'abbazia di San Maurizio d'Agauno, la chiesa di St. Moritz nell'Engadina e la cappella dell'Abbazia di Einsiedeln. In Italia si possono citare la Basilica di San Maurizio che domina Pinerolo e la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano.